Il processo e la prova di innocenza travisata

Il 7 luglio 2016 è prevista l’udienza preliminare presso il Tribunale di Milano. Guido è provato, psicologicamente e fisicamente; non se la sente di partecipare. Il nuovo difensore, nominato da poco, ritiene che la presenza del regista in quella sede non sia necessaria, in quanto “udienza tecnica” e che, come sempre accade, il vero processo verrà fissato nei mesi seguenti. In realtà, il Giudice dispone che il procedimento, con rito abbreviato, venga celebrato seduta stante, cogliendo di sorpresa lo stesso difensore.

Si svela così l’orientamento della Magistratura, che sembra indirizzata a confermare la penale responsabilità di Guido Milani. Durante la requisitoria, il pubblico ministero chiede un “atto di fede” nei confronti della parte offesa: secondo il P.M. si tratta di un caso in cui è indispensabile credere alle accuse, ritenere “attendibile” il denunciante e condannare, NONOSTANTE NON ESISTA LA MINIMA PROVA DI COLPEVOLEZZA.

Vani sono i tentativi della difesa di evidenziare i disturbi psichici di Carlo, che dovrebbero spingere il Giudicante a valutare criticamente le narrazioni e ad esigere riscontri rigorosi dinnanzi ad accuse di tale portata.

Solo cinque giorni dopo, il 12 luglio 2016, alla velocità della luce, viene letta la Sentenza. Il ragazzo è ritenuto credibile e Guido riceve una condanna per tutti i capi d’imputazione: violenza sessuale e spaccio illecito di sostanze stupefacenti finalizzato alla prostituzione minorile.

L’impatto nella vita di Guido Milani è sconvolgente. La difesa annuncia ricorso in Appello avverso la sentenza di primo grado.

 

Guido Milani torna a far presente la propria verginità da un punto di vista sessuale, ribadendo di non aver mai avuto rapporti penetrativi con alcuna persona, in nessuna condizione, tantomeno con violenza. Chiede così di essere sottoposto ad un’analisi urologica per valutare se una simile circostanza sia riscontrabile medicalmente. Si tratta della famosa visita che Guido aveva proposto al primo difensore, nel marzo 2014, il quale si era espresso ritenendola “superflua” ed “inutile”.

Il 25 luglio 2016, il regista si sottopone ad un esame presso la clinica “San Camillo” di Cremona. A visitarlo è il dr. Gianni Cancarini, Primario di Urologia, al quale vengono sintetizzate le accuse. Lo specialista procede con la propria perizia. Non appena valutate le condizioni anatomiche dell’apparato genitale di Guido Milani, scuote la testa e certifica senza ombra di dubbio L’IMPOSSIBILITA’ CHE GUIDO ABBIA AVUTO, IN VITA SUA, RAPPORTI SESSUALI, A CAUSA DI UNA MALFORMAZIONE CONGENITA AL PENE.

La diagnosi che il medico attesta è rigorosa. La si riporta integralmente:

“Cremona, 25 luglio 2016

Il sig. Guido Milani è riscontrato affetto da prepuzio esuberante con fimosi e da frenulo breve di tipo congenito. Il glande si scopre solamente con pene flaccido. I rapporti sessuali con penetrazione NON SONO POSSIBILI perché causerebbero una parafimosi con lacerazione del frenulo e conseguente dolore. È necessario che il paziente si sottoponga ad intervento di circoncisione con una plastica del frenulo.”

Guido è convinto che sia finalmente arrivato il momento della svolta. Il Primario si rende disponibile ad intervenire in Tribunale per fornire ai Giudici una completa ed approfondita spiegazione sulla patologia congenita (dunque presente fin dalla nascita) che affligge l’apparato genitale del regista.

Trascorrono due anni.

Il 20 giugno 2018, su espressa richiesta di Guido Milani (che, stanco di convivere con un simile peso e desideroso di dimostrare la propria innocenza, formula domanda di anticipare la fissazione d’udienza), viene celebrato il processo d’appello. Guido nutre fiducia nella Giustizia ed è certo che, di fronte ad una prova così inconfutabile, la Verità possa emergere nitidamente, una volta per tutte.

Ciò che accade, invece, rasenta l’incredibile.

L’Udienza, fissata per le ore 9.00, slitta alle 13.10. Il tempo disponibile per la trattazione del caso è poco meno di mezz’ora. Guido Milani espone la propria versione dei fatti: è la prima volta che parla della vicenda dinnanzi ad un’autorità giudiziaria. DURANTE TUTTO IL PERIODO DELLE INDAGINI, INFATTI, EGLI NON E’ MAI STATO CONVOCATO PER UN INTERROGATORIO IN PROCURA, NON HA MAI INCONTRATO IL PUBBLICO MINISTERO.

Il difensore argomenta le ragioni dell’Appello, soffermandosi sulla patologia diagnosticata dall’Urologo, sull’assenza di prove in grado di dimostrare le accuse e sulla piena inattendibilità del denunciante. Dopo un’ora, la Corte pronuncia il verdetto: la sentenza di condanna viene confermata.

È l’ennesimo pugno nello stomaco.

I Giudici sottovalutano inspiegabilmente la relazione del dr. Cancarini, scrivono che sia limitativa e, soprattutto, NE TRAVISANO IL CONTENUTO. Quanto i Magistrati riportano nelle motivazioni lascia sbigottiti:

“Il dr. Cancarini non si è espresso nel senso di una impossibilità assoluta alla attività sessuale, bensì solo nel senso di una acuta percezione del dolore da parte del Milani nel caso di rapporti penetrativi, il che non esclude la loro verificazione.”

A tutto ciò, quasi improvvisandosi urologi, scrivono che “il paziente non è stato sottoposto ad alcuno più specifico approfondimento diagnostico”, approfondimento diagnostico che, semplicemente, al primario non era occorso per giungere alle proprie rigorose conclusioni, tanto la malformazione diagnosticata era lampante.

Dunque, se da un lato il dr. Cancarini parla chiaramente di IMPOSSIBILITA’ ALLO SVOLGIMENTO DI RAPPORTI SESSUALI, dall’altro i Giudici ritengono che lo specialista abbia SOLO certificato ACUTA PERCEZIONE DEL DOLORE IN CASO DI RAPPORTI PENETRATIVI, SENZA PERO’ ESCLUDERNE IL VERIFICARSI. Si tratta di due concetti differenti. La Corte d’Appello Meneghina sceglie immotivatamente di dare un’interpretazione distorta alla puntuale analisi urologica del Primario. Ciò si tramuta nell’ennesima pronuncia sfavorevole ai danni di Guido Milani.

Quindi la sentenza di condanna NON SOLO si fonda sulla “credibilità” di un individuo oggettivamente inattendibile, NON SOLO riconosce la penale responsabilità SENZA ALCUNA PROVA (costruendo, di contro, un’immagine surreale e pregiudizievole di Guido Milani) ma addirittura TRAVISA una perizia urologica in grado di offrire elementi determinanti per attestare l’innocenza del regista.  

Il 20 febbraio 2019 la Suprema Corte di Cassazione non fa che confermare la condanna, rendendola definitiva. Vengono respinti tutti i motivi del ricorso, inclusa la relazione urologica, ritenuta non sufficiente a dimostrare l’estraneità ai fatti di Guido Milani. In realtà, il Primario Cancarini era stato chiaro nell’indicare che quanto denunciato non fosse potuto accadere per precise ragioni medico-scientifiche. Purtroppo, nessun magistrato mette a confronto il contenuto della relazione clinica con l’interpretazione datale dai Giudici di secondo grado, che l’hanno distorta, facendone mutare il senso.

Il 26 marzo 2019 Guido viene condotto in carcere per l’esecuzione della pena.