Il 31 marzo 2014 inizia il vero incubo.
È l’alba di un lunedì mattina d’inizio primavera. Sono passate da poco le 6. Guido sta ancora dormendo nell’abitazione di famiglia, ad Oggiono, quando viene svegliato di soprassalto dal suono del citofono. Alla porta compaiono quattro agenti di Polizia della Squadra Mobile di Milano, con un mandato di perquisizione per casa, auto ed uffici.
È in quel momento che Guido, scosso e spaventato, scopre di essere al centro di un’inchiesta penale. Carlo ha sporto denuncia il 13 settembre 2013, raccontando agli inquirenti fatti di inaudita gravità, collocandoli nella serata trascorsa all’interno dell’albergo. Nella querela, ricostruisce eventi terribili, oltre che falsi. Sostiene che Guido, quella sera di tre anni prima, lo abbia pagato con cocaina in cambio di rapporti sessuali e che, ciliegina sulla torta, si sia avventato violentemente su di lui, obbligandolo con forza a subire una penetrazione per via anale.
Sono accuse feroci, lontane anni luce dalla personalità del regista, che assiste impietrito, insieme ai propri genitori, mentre i pubblici ufficiali rivoltano armadi, cassetti, scatole. L’unica donna poliziotta presente, senza perifrasi, afferma che lei e i colleghi siano alla ricerca di sostanze stupefacenti e si rivolge alla madre del regista tuonando quella che suona già come una sentenza di colpevolezza: “Signora, sa che suo figlio dà droga ai ragazzini in cambio di sesso?”.
Guido conosce a malapena cosa sia la droga, non ha mai sfiorato neppure una sigaretta, tantomeno sostanze stupefacenti, che non saprebbe né distinguere né recuperare. Le perquisizioni si concludono chiaramente con un nulla di fatto, senza che gli agenti trovino alcunché.
L’inchiesta però procede. Il regista si rivolge subito ad un amico avvocato, al quale racconta la Verità, soffermandosi sia sulla droga, mai avvicinata nemmeno per sbaglio, sia sul tema dei rapporti sessuali, che confida intimamente di non aver mai avuto con nessuno, anche in funzione dei dolori percepiti al proprio apparato genitale ogni qualvolta il membro stia per raggiungere una tumescenza. È Guido a chiedere se una circostanza simile, ovvero la sua verginità dal punto di vista sessuale, possa essere dimostrata medicalmente attraverso una visita specialistica. L’avvocato, forse peccando di inesperienza, risponde che sia impossibile attestarlo e scarta a priori qualunque esame urologico.
È l’inizio di un susseguirsi di errori, anche difensivi. Guido si fida e lascia fare al professionista, con la certezza – ribaditagli dallo stesso legale – che una condanna, a maggior ragione per reati così gravi, debba fondarsi su prove rigorose. E, dal momento che si tratta di menzogne, le prove non esistono.
Se il regista avesse sottoposto subito il proprio apparato genitale ad una perizia medica, l’innocenza sarebbe emersa immediatamente, certificata da inconfutabili evidenze scientifiche.